Scambio di foto e video hot in chat con una ragazzina: logico parlare di atto sessuale con una minorenne

Tale reato non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra il soggetto e la vittima, precisano i giudici

Scambio di foto e video hot in chat con una ragazzina: logico parlare di atto sessuale con una minorenne

Catalogabile come atto sessuale con una minorenne anche lo scambio, avvenuto in chat, di foto e

video hot.
Questa la presa di posizione dei giudici (sentenza numero 26980 del 23 luglio 2025 della Cassazione) a legittimare la condanna di un uomo inchiodato dallo scambio di messaggi, foto e video avvenuto con una ragazzina di appena 13 anni.
Ricostruita la delicata vicenda, per i giudici di merito il quadro probatorio, centrato sul contenuto della chat tra la minorenne e un uomo di oltre 20 anni, è chiarissimo. Consequenziale, quindi, la condanna dell’adulto, sanzionato con due anni e dieci mesi di reclusione e obbligato a pagare 12mila euro di multa, in quanto ritenuto colpevole di pornografia minorile e di atti sessuali con una minorenne.
In sostanza, l’uomo ha, tramite ‘WhatsApp’, adescato la ragazzina di 13 anni e poi l’ha utilizzata per produrre materiale pornografico. Più nello specifico, egli le ha inviato immagini fotografiche anche retraenti i propri genitali e video nei quali praticava su sé stesso atti masturbatori e poi l’ha indotta, mediante pressioni, artifizi e lusinghe, a realizzare e ad inviargli più fotografie ritraenti le sue parti intime in primo piano, nonché ritraenti sé stessa mentre compiva atti masturbatori.
Per i giudici di merito non ci sono dubbi: l’uomo ha compiuto atti sessuali con persona minorenne avente meno di 14 anni.
Secondo la difesa, però, la valutazione compiuta in Appello è eccessivamente drastica. Così, col ricorso in Cassazione, l’avvocato sostiene, innanzitutto, la mancata consapevolezza dell’uomo in merito all’età della ragazzina contattata, peraltro, tramite una ‘app’ per single riservata solo ai maggiorenni.
Allo stesso tempo, secondo il legale, è illogico parlare di pornografia minorile, poiché l’elemento dell’utilizzazione del minore, che ne implica una strumentalizzazione, non è emerso, tenuto conto dei messaggi tra l’uomo e la ragazzina, in quanto è stata la minorenne a chiedere immagini dal contenuto sessuale all’uomo, il quale, quindi, sempre secondo il legale, non ha esercitato alcuna pressione per l’esecuzione delle foto incriminate. Inoltre, secondo il legale, si deve escludere l’utilizzazione del minore poiché le immagini hanno per oggetto la vita privata sessuale di un minore che ha raggiunto l’età del consenso.
In ultima battuta, poi, il legale sostiene non si possa neanche ipotizzare il reato di atti sessuali con soggetto minorenne, vista l’accertata assenza di contatto corporeo tra l’uomo e la ragazzina, ma si possa parlare, almeno sulla carta, di corruzione di minorenne.
Per i magistrati di Cassazione, però, le obiezioni sollevate dalla difesa sono assolutamente prive di fondamento. Di conseguenza, è definitiva la condanna dell’uomo, a fronte del contenuto della chat con la ragazzina.
Innanzitutto, è impossibile, checché ne dica l’avvocato, ridimensionare la condotta tenuta dall’uomo e sostenere che abbia agito nell’ignoranza incolpevole, in quanto inevitabile, dell’età della ragazzina. Su questo fronte i magistrati richiamano il principio secondo cui, in tema di reati contro la libertà sessuale commessi in danno di persona con meno di 14 anni, l’ignoranza dell’età della persona offesa può scriminare la condotta solo qualora l’autore della condotta, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il soggetto minorenne sia maggiorenne. Dunque, l’adulto deve attivarsi per superare l’eventuale ignoranza dell’età del minore, ignoranza che non può fondarsi soltanto sulle dichiarazioni della vittima, o di terzi, essendo richiesto, a chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appaia di giovane età, un impegno conoscitivo proporzionale al bene tutelato dalla norma penale. Ciò comporta l’onere di allegare specificamente non soltanto la non conoscenza dell’età della persona offesa, ma anche di aver fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse del libero sviluppo psico-fisico del minore.
Applicando questa visione alla vicenda oggetto del processo, è decisivo un dettaglio: l’uomo non ha fornito alcuna prova in merito alle verifiche effettuate per accertare l’età della ragazza con la quale stava intrattenendo una relazione di natura sessuale. E in questa ottica è del tutto insufficiente la circostanza che il contatto sia avvenuto attraverso una ‘app’ – con iscrizione riservata ai maggiorenni – per single, anche perché la fotografia presente sulla ‘app’ smentiva decisamente il dato anagrafico e ciò avrebbe imposto all’uomo accertamenti specifici e approfonditi per risalire all’età della ragazzina.
Per quanto concerne, poi, il reato di pornografia minorile, centrale è il riferimento alla utilizzazione della ragazzina da parte dell’uomo. In sostanza, si ha utilizzazione del soggetto minorenne allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto, dell’età, della maturità, dell’esperienza e dello stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica del soggetto minorenne.
Tornando alla specifica vicenda, vanno valorizzati, secondo i giudici, l’insistente approccio dell’uomo con la minore e il differenziale di età. In sostanza, tali elementi sono ritenuti dimostrativi di una strumentalizzazione della minore e, dunque, della sua utilizzazione per la produzione del materiale pedopornografico.
Sacrosanto, poi, secondo i magistrati di Cassazione, parlare, a fronte della condotta tenuta dall’uomo, di atti sessuali con soggetto minorenne. Ciò perché tale reato non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra il soggetto e la vittima, risultando configurabile anche nel caso in cui l’uno trovi soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere all’esecuzione di atti sessuali da parte dell’altra. E nella vicenda in esame, come appurato, la minore non solo aveva assistito ad atti sessuali compiuti dall’uomo, ma li aveva a sua volta realizzati, con la conseguenza che la mancanza di un contatto fisico tra le parti non può escludere la sussistenza del reato, in quanto la condotta posta in essere dall’uomo ha leso la libertà di autodeterminazione e sviluppo dell’integrità psico-fisica della minore.

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