Decadenza solo se vi è una valutazione solida di non affidabilità del genitore

In dubbio la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre di una ragazzina di 13 anni ma senza la necessaria individuazione di condotte malevole o disfunzionali della donna nei confronti della figlia, ma soltanto di comportamenti ambivalenti o elusivi delle modalità degli incontri protetti

Decadenza solo se vi è una valutazione solida di non affidabilità del genitore

La decadenza dalla responsabilità genitoriale rappresenta una misura estrema, ovviamente non solo per il genitore ma anche, anzi soprattutto, per il figlio, e quindi essa implica una valutazione solida di non affidabilità del genitore a curare gli interessi del minore, valutazione che può ritenersi solida se fondata su fatti concreti, desunti da indizi gravi e precisi. Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 24708 del 16 settembre 2024 della Cassazione), i quali hanno perciò messo in discussione il decreto con cui era stata dichiarata in Appello la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre di una ragazzina di 13 anni ma senza la necessaria individuazione di condotte malevole o disfunzionali della donna nei confronti della figlia, ma soltanto di comportamenti ambivalenti o elusivi delle modalità degli incontri protetti. Utile anche il riferimento al Codice Civile, secondo cui il giudice può pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale nei casi in cui il genitore viola o trascura i suoi doveri ovvero abusa dei relativi poteri, e ogniqualvolta tale violazione, omissione o abuso abbia comportato un grave pregiudizio per il figlio. In sostanza, il provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale rappresenta l’extrema ratio ed è adottabile, quindi, qualora la condotta del genitore si traduca in un grave pregiudizio per il minore. Difatti, per essere precisi, il provvedimento ablativo della responsabilità dei genitori è preordinato alla esigenza prioritaria della tutela degli interessi del figlio: esso non costituisce una sanzione a comportamenti inadempienti dei genitori ma piuttosto è fondato sull’accertamento, da parte del giudice, degli effetti lesivi che detti comportamenti hanno prodotto e possono ulteriormente produrre in danno del figlio, tali da giustificare l’ablazione della responsabilità genitoriale, per l’appunto. Pertanto, se non vi è un concreto pregiudizio per il minore, l’autorità giudiziaria non può intervenire con la decadenza dalla responsabilità genitoriale. Di conseguenza, ai fini della pronuncia di decadenza non è sufficiente che il genitore abbia violato e trascurato i doveri inerenti alla propria veste (in alternativa all’abuso dei relativi poteri), ma occorre anche che da ciò sia conseguito pregiudizio per il figlio e tale pregiudizio deve anche essere grave e certamente, alla luce della struttura della norma, non può ritenersi implicito in ogni accertata violazione dei doveri genitoriali. Occorre, inoltre, la verifica, in applicazione del principio del superiore interesse del minore, della possibilità che tale rimedio incontri, nel caso concreto, un limite nell’esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del figlio, in conseguenza del brusco e definitivo abbandono del genitore con il quale abbia sempre vissuto e della correlata lacerazione di ogni consuetudine di vita. Evidente, nella vicenda presa in esame, la fragilità del ragionamento che ha portato alla decadenza della donna dalla propria responsabilità genitoriale. Nello specifico, all’origine del conflitto all’interno della coppia coniugale vi sono state l’adesione della donna ai Testimoni di Geova e la partecipazione alle riunioni anche da parte della figlia, partecipazione ritenuta dal padre fonte di condizionamenti e di manipolazione. Ma la condotta gravemente pregiudizievole della madre, beninteso, non è stata individuata nell’adesione della donna al gruppo religioso, bensì nell’atteggiamento di rifiuto, da parte della figlia, del rapporto paterno, atteggiamento continuato anche dopo il provvedimento di sospensione della responsabilità di entrambi i genitori, il collocamento della minore in casa famiglia e il suo affidamento ai ‘Servizi sociali’. In realtà, i giudici d’Appello hanno indugiato nell’analizzare l’origine di questo legame madre-figlia, definito morboso e, a tratti, patologico. A loro parere, è verosimile che il forte legame madre-figlia possa essersi instaurato per via della malattia della donna (che soffre di una patologia tumorale) e a causa delle violente liti dei genitori alle quali la ragazzina ha dovuto in passato assistere. Situazioni, queste, tali da suscitare nella minore un comprensibile senso di protezione nei confronti della propria madre per l’incapacità del padre di rendersi empatico e partecipativo verso la figlia. E tutto ciò sarebbe stato amplificato, sempre secondo i giudici d’Appello, da una separazione di fatto in casa, poi sfociata in separazione legale, che ha visto la madre e la figlia ritagliarsi nella camera della minore una loro intimità, con conseguente esclusione della figura paterna. Il provvedimento di decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale sarebbe giustificato, secondo i giudici, anche dall’evitare il rischio che la bambina possa manifestare chiusura totale verso il padre, una volta affidata alla mamma verso cui la figlia mostra sì affetto e forte attaccamento, ma nel senso di una polarizzazione che vede dall’altro capo un forte astio nei confronti del padre. Ma, osservano i magistrati di Cassazione, in una fattispecie caratterizzata dalla crisi nel rapporto con il padre e dal rifiuto della figlia, collocata in una ‘casa famiglia’ e affidata ai ‘Servizi sociali’, di riallacciare i rapporti con il medesimo genitore, la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre, nei cui confronti la minore nutre invece un forte attaccamento unito al desiderio di tornare al più presto a convivere, avrebbe richiesto l’individuazione di condotte malevole o disfunzionali a carico della donna, non potendo essere ancorata semplicemente su giudizi apodittici affidati a frasi stereotipate (come le “ambivalenze quando si trova ad affrontare cambiamenti nella vita della figlia”) o su aspetti (come l’intensa messaggistica vocale scambiata con la figlia o i colloqui talvolta intrapresi in lingua straniera e a bassa voce, elusivi delle modalità degli incontri protetti) di rilevanza secondaria.

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